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Introduzione sezione monografica

Collettivo redazionale

L’organizzazione è il tema di questa sezione monografica. Tema classico, evidentemente, che si ripropone oggi tuttavia in nuove condizioni e a partire dalla registrazione di un problema: in questo primo quarto del ventunesimo secolo abbiamo assistito (e partecipato) a un impressionante susseguirsi di movimenti e lotte a livello globale e territoriale. Questi movimenti e queste lotte hanno profondamente trasformato il linguaggio politico, hanno posto nuove questioni e rinnovato il modo di affrontare questioni antiche. Hanno in qualche modo formulato elementi di una nuova strategia per la trasformazione radicale dell’esistente. E tuttavia, hanno regolarmente incontrato un limite (più o meno radicale) di fronte alla necessità di consolidare ed estendere nel tempo la loro azione trasformatrice – di fronte, insomma, al problema essenziale dell’organizzazione politica.

Negli scorsi anni abbiamo spesso esaltato la potenza di quei movimenti, li abbiamo visti concretamente attraversati da dispositivi materiali che ci sembravano costituire le basi di un loro autonomo sviluppo. Non abbiamo condiviso l’entusiasmo per l’“orizzontalismo” che si è diffuso tra il movimento alter-mondialista e il ciclo Occupy fino ad arrivare ai più recenti percorsi ecologisti e transfemministi - ma certo abbiamo pensato che interpretasse alcune nuove caratteristiche di movimenti che sembravano direttamente esprimersi sul piano transnazionale. Al contempo, tuttavia, abbiamo sempre ragionato su come quei movimenti potessero guadagnare durata e forza. Di nuovo: la questione dell’organizzazione - pur consapevoli della necessità di rinnovarne in modo radicale i termini e di ripensarne i soggetti.

Riproporre con forza la centralità della questione resistendo alla tentazione di cercare rifugio in soluzioni precostituite è quello che ci pare necessario. Il metodo che abbiamo seguito, per aprire un campo di ricerca politica collettiva, è quello dell’inchiesta: lo studio del modo in cui questa questione si è posta all’interno di movimenti specifici e dell’individuazione critica dei limiti di queste esperienze - per formulare ipotesi che possano guidare in futuro le nostre pratiche militanti. Per questo ci siamo rivolte a persone e spazi sociali, realtà sindacali, politiche e sociali, ricercatrici e militanti, chiedendo in primo luogo di condividere all’interno di una riflessione collettiva il modo in cui affrontano quotidianamente il nodo dell’organizzazione. L’abbiamo fatto cercando di elaborare una cartografia che mette in dialogo latitudini ed esperienze talvolta anche estremamente differenti.

Si possono dunque leggere una serie di contributi elaborati in contesti italiani, ma scorrendo l’indice di questa sezione non si mancherà di notare come un ruolo importante svolga anche l’America Latina – forse il laboratorio “più avanzato” della lotta di classe di questo inizio di millennio. Qui ad esempio abbiamo indagato le aporie e le domande aperte che rimangono in cerca di risposta dall’insurrezione cilena del 2019, con l’articolo di Andrea Fagioli. Ma di nuovo, altre latitudini ed esperienze si incrociano, sia per forme “istituzionali” in relazione con potenti cicli di mobilitazione – è il caso della France Insoumise francese, di cui raccontano qui Clémence Guetté et Antoine Salles-Papou, intervistati dal Séminaire Capitalisme Cognitif – sia per la definizione e per la difesa di autonomie come quella zapatista o quella del confederalismo democratico in Rojava – contesti sui quali intervengono qui l’ Accademia della Modernità Democratica, Maurilio Pirone e Ilaria Depari.

Rimettere al centro il tema dell’organizzazione, per una rivista che nasce in Italia, si accompagna a una considerazione. Da un lato nella ricognizione di questo numero approfondiamo una serie di esperienze geograficamente lontane con l’ottica di accogliere spunti e suggestioni per una loro reciproca traduzione. Dall’altro il contesto in cui ci muoviamo è quello di una profonda crisi politica delle forme organizzative, siano esse sindacali, partitiche, di movimenti, di aree politiche o di collettivi/centri sociali. Non si tratterà tuttavia di attraversare un deserto, ma di domandarci cos’è accaduto e cosa sta accadendo nel sociale alla ricerca delle condizioni soggettive e oggettive per nuove piattaforme organizzative.

In quest’ottica abbiamo cercato di focalizzare al tempo stesso i limiti e le potenzialità delle pratiche e delle esperienze. Ci sembra infatti necessario andare al di là l’esistente e a immaginare il futuro. Il tutto a partire da un’ipotesi di fondo che orienta il nostro lavoro, ovvero che i movimenti di massa e le lotte sociali (la lotta di classe nel senso ampio del termine) siano la guida necessaria dei processi di trasformazione. È al loro interno che può scaturire uno salto politico in avanti. Tuttavia, non esiste scorciatoia possibile: l’efficacia di questo scarto dipenda dalla presenza di una politica di minoranza capace di assicurare durata ed espansione all’azione dei movimenti.

È con questa lente che è produttivo mettere in relazione le varie sezioni della rivista, che intessono un continuo dialogo tra loro. Se in questo monografico raccogliamo numerose esperienze, altrove si possono leggere contributi che si concentrano sull’elaborazione di alcuni riquadri di lettura più “generali”, come ad esempio nei Materiali, con Democrazia e organizzazione nei movimenti degli anni 2010: su If We Burn di V. Bevins di Davide Gallo Lassere. O ancora, nei Dialoghi, dove abbiamo cercato di approfondire con Rodrigo Nunes un’ipotesi che ci è parsa stimolante: quella che invita a pensare l’organizzazione come un ecosistema complesso, come uno spazio comune in cui forme diverse di azione collettiva si distribuiscono in modo tale da combinarsi, comunicare, mettersi in relazione, farsi polarità magnetica e determinare l’accumulo di potenza per la trasformazione dell’esistente.

Siamo consapevoli di riformulare ancora una volta un problema classico, quello del rapporto tra spontaneità e organizzazione, tra classe e partito. È il caso di ripetere, però, che lo facciamo in condizioni radicalmente nuove. La composizione del “lavoro vivo” presenta su scala globale (e dunque in ogni territorio) caratteristiche del tutto inedite, in particolare per il caleidoscopio di differenze che la innerva. Nell’insorgenza di figure soggettive specifiche si pone sempre un problema di organizzazione, che può venire affrontato in modi diversi (più o meno orientati al ripiegamento corporativo/identitario o a dinamiche espansive). La convergenza di queste diverse figure soggettive in un assemblaggio politico può a sua volta determinarsi in modo diverso. Attraverso il traino di singole figure potenti, come è accaduto nei movimenti femministi latinoamericani, che qui discutiamo con i contributi di Natalia Hernández e di Veronica Gago. O con il movimento nero negli USA, che sondiamo nell’intervista con Stefano Harney e Fred Moten. Oppure, su scala evidentemente diversa, su iniziativa di un singolo soggetto, come ad esempio il collettivo ex-GKN in Italia, qui discusso nel contributo di Lorenzo Feltrin e Francesca Gabbriellini.

Aggiungiamo qualche tassello ulteriore per aprire una discussione ampia, che ci auguriamo che Teiko possa contribuire a rilanciare. In molti e molte abbiamo proposto l’attualità della categoria di contropotere nella fase attuale (si veda ad esempio il Quaderno di Euronomade sul Contropotere: https://www.euronomade.info/quaderno-di-euronomade-contropotere/). Nelle diverse forme in cui si manifesta (da quelle di una pervasiva diffusione sociale a quelle che assumono la forma di vere e proprie contro-istituzioni), il contropotere pone problemi essenziali dal punto di vista dell’organizzazione. Ci pare che questi problemi siano particolarmente importanti nell’attuale congiuntura, segnata a livello globale da una crescita di destre più o meno aggressive, dalla tendenziale chiusura degli spazi di mediazione istituzionale, dalla guerra (sia bellica che alla riproduzione sociale), da forme genocidiarie in Palestina e da nuove articolazioni tecnologiche e comunicative. Temi che vengono qui ripresi nella sezione Seminari, nel contributo di Ilan Pappé introdotto da Ruba Salih.

È evidente che una teoria e una pratica dell’organizzazione non può che collocarsi all’interno di una congiuntura specifica, mutando con essa di volta in volta. Così come è evidente che non possiamo qui situare la nostra riflessione su tutti i nodi sopra indicati. Ci limitiamo dunque a proporre alcuni elementi di riflessione politica e a tracciare alcune linee generali attorno a cui proseguire la riflessione collettiva a partire dal lavoro di inchiesta svolto per questa sezione. Si tratta di tre “tensioni”, tra loro concatenate.

Tensione I: Statualità e scale dell’organizzazione

L’organizzazione politica si muove sempre in un campo di tensione definito tra il “con” e il “contro”. Ci si organizza “per qualcosa” e “in contrasto a qualcosa”. Le amicizie e le inimicizie politiche, le dimensioni di composizione/alleanza/convergenza/coalizione vs le forme di sfruttamento/repressione/sussunzione/espropriazione. Si creano spazio e tempo, autonomie, per le nostre parti, togliendo spazio e tempo alle nostre controparti. Da queste ultime partiamo qui brevemente. Oggi infatti i due “grandi nemici” contro cui i movimenti rivoluzionari si sono battuti negli ultimi secoli, lo Stato e il Capitale, hanno cambiato radicalmente forma. Una “de-generazione” delle loro caratteristiche che inevitabilmente muta i termini dell’organizzazione contro di essi.

La trasformazione dello Stato non ha caratteri effimeri. In Europa decenni di contro-rivoluzione dopo le conquiste sociali e politiche post-Seconda guerra mondiale hanno definito profondamente il profilo della statualità, centralizzando il comando ed erodendo la diffusione territoriale delle istituzioni. Questo scombina l’idea riformista di un uso delle istituzioni esistenti come strumento “neutrale” per la trasformazione del capitalismo, ma anche l’ipotesi rivoluzionaria classica di una loro secca distruzione sembra non aver avuto effetti pratici negli ultimi decenni. La ricerca della rottura politica e la costruzione di un’altra società nel qui e ora vanno insomma ripensate da capo.

Si può forse lavorare in una direzione che miri a combinare il consolidamento di strutture autonome con l’appropriazione di singole infrastrutture pubbliche laddove se ne diano le condizioni - assumendo sempre come priorità il consolidamento dell’autonomia? In altre parole: in una fase di ulteriore e radicale restringimento del welfare state e di emersione di un regime di guerra come regolatore delle politiche sociali, le lotte si muovono su un crinale scivoloso. Tra la possibilità autonoma di autogestire servizi e infrastrutture sociali (inteso come dinamiche di antagonismo che si “sedimentano” in contro-istituzioni strappando legittimità allo Stato), e il rischio (spesso avvenuto) che questa si tramuti in nuove forme di “terzo settore” – una gestione “della povertà” al posto delle istituzioni che paradossalmente compensa i tagli al welfare. Anche su questa contraddizione interviene qui Maria Teresa Annarumma.

Il secondo elemento di radicale cambiamento per una teoria e una pratica dell’organizzazione è il tema del come si stanno ridefinendo le scalarità del capitalismo, i processi globali, nella loro non lineare articolazione con lo Stato. La necessità di un nuovo “internazionalismo”, da includere come presupposto della pratica e dell’azione politica anche sul piano più rigorosamente territoriale, infatti, ci pare un dato auto-evidente, ma riempire di contenuto e pratica questo tema non è per nulla scontato, come mostrano molti dei contribuiti qui raccolti. La dimensione del “globale”, recentemente messa in tensione con il concetto di “pianeta”, o ancora la riflessione sulla dimensione “transnazionale”, corrono spesso il rischio di offuscare e di semplificare complessità ed eterogeneità delle operazioni del capitale, e conseguentemente di rendere più difficile pensare il come organizzarsi dentro e contro di esse. Il punto è comprendere come gli spazi oggi non siano “lisci”, ma articolati, conflittuali, multiscalari. Su questa complessità è necessario rilanciare l’immaginazione e la pratica politica in cui l’internazionalismo non sia mera evocazione ma produzione di nuove interconnessioni di lotta puntando al fatto che la dimensione globale dei processi che ci dominano sia inclusa nelle forme di organizzazione non come dimensione separata ma come aspetto costitutivo della pratica quotidiana.

Tensione II: Territorialità e mobilità dell’organizzazione

Anche attraverso un’altra angolazione è possibile ragionare su questo problema. Se ricette precostituite, dal “Partito” al “Sindacato” a forme-movimento “classiche” ci paiono “non aver materialmente funzionato”, resta il nodo dell’invenzione e dell’innesco di dinamiche in grado di potenziare le singole lotte e di generare simultaneamente “visioni” generali, punti di condensazione ampia in grado di attrarre e rilanciare larghe componenti sociali. Qui insomma una seconda tensione che nutre il problema dell’organizzazione, che usando altre parole potremmo anche articolare nei termini della tensione tra radicamento e generalizzazione, tra differenza e divenire comune dei soggetti e dei conflitti.

Problema filosofico ed estremamente pratico. Probabilmente una aporia da cui decenni di teoria e pratica sovversiva non sono ancora riuscite a uscire. Una traccia di riflessione che possiamo proporre in merito è come poter articolare insieme territorialità e mobilità. Resta un fatto piuttosto evidente: che nell’epoca dell’accelerazione digitale questi due elementi entrano in nuove configurazioni, che si concretizzano nella tensione aperta tra la possibilità di organizzarsi materialmente nei quartieri, nei magazzini, nelle scuole, negli ospedali, nelle università, nelle periferie, e quella di interconnettere e di far dialogare (anche conflittualmente) questi vettori. Si tratta in qualche modo di pensare un movimento politico che sappia sia imporre rigidità dove il capitale si fa fluido e precarizzante (ad esempio là dove Stato e capitale abbandonano i territori), e contemporaneamente di imporre mobilità e velocità come via di fuga dai blocchi e dai confini che essi pongono e ritracciano di continuo.

Nel contributo 9x9%. Riquadri, input e suggestioni sull’organizzazione militante si propone di sperimentare un lessico e una pratica organizzativa che in questa direzione prefiguri una “logistica delle lotte”, ripensando un agire politico che organizzi “infrastrutture e hub” per andare al di là dell’attuale scenario italiano frammentato in collettivi e gruppi politici. Va inoltre richiamato in proposito il già menzionato contributo di Rodrigo Nunes su una nuova concezione dell’organizzazione come un “ecosistema”, un’ecologia composta di molte forme (anche tra loro conflittuali) in grado di rinnovare in modo in cui si pensa l’azione trasformativa. Questi stimoli e traiettorie ci indicano comunque che negli ultimi decenni una domanda sociale di organizzazione è rimasta inevasa. Di nuovo, questa seconda tensione va tenuta presente e rilanciata per produrre collettivamente nuovi framework che spingano per un salto oltre i collettivi-partito, i piccoli gruppi, le singole direzioni di movimento attuali senza però sminuire la loro differenza (e dunque la loro potenza).

Tensione III: Dimensioni e dinamiche dell’organizzazione

Terza e ultima tensione che mettiamo a fuoco è quella delle differenti dimensioni organizzative e di quali dinamiche possano svilupparsi in “macchina politica”. Riprendendo alcuni degli elementi già espressi in precedenza, possiamo analiticamente dividere tre dimensioni concentriche dell’organizzazione: l’organizzazione specifica; la convergenza tra queste; l’agire strategico. Riprendiamole una per una.

La prima si riferisce all’organizzazione di una singola lotta (come ad esempio una lotta contro un’opera o contro la distruzione di un “bene comune”), di una singola figura sociale (ad es. i rider), ma anche di un singolo movimento (che pur capace di investire la società nel suo complesso parte comunque da questioni specifiche – come ad esempio i movimenti ecologisti). Quali sono le forme di organizzazione che entrano qui in gioco? Si possono trovare spunti in proposito nell’articolo di Marco Palma sui movimenti ecologisti o nei vari interventi “sul sindacalismo” (l’intervista a Gianni Boetto, l’articolo di Iozzoli e quello di Marrone, o l’inchiesta sulla lotta a Italpizza).

La seconda dimensione è quella della convergenza di diverse lotte, figure soggettive, movimenti all’interno di un piano di azione più generale. Si tratta in altre parole di come le figure militanti costruite all’interno della prima sfera possano creare nessi e ponti, spostando più in avanti le potenzialità che loro singolarmente appartengono. In Italia ci sono stati alcuni esperimenti in proposito, con alterne fortune e spesso dimenticando come la convergenza, per farsi prassi trasformativa, debba avere come posta in palio quella della trasformazione dei soggetti che la agiscono nel corso del processo convergente, mutando così le condizioni di partenza.

Come poi la convergenza possa nutrire quello che provvisoriamente possiamo chiamare un agire strategico – nella forma della rete, di un insieme di infrastrutture o dell’hub – rinvia a una terza dimensione. Come poter costruire oggi una nuova “fabbrica della strategia” (per richiamare un altro contributo della sezione Materiali), ossia una terza sfera in grado in altre parole di collocarsi all’altezza della realizzazione dei “grandi fini”, del “sogno collettivo”, è terreno certo non semplice ma di cui non si può fare a meno.

Qui la terza tensione: come possono operare insieme queste tre dimensioni? Il tema che si pone è chiaramente quello delle militanze politiche che devono crescere e mettere in forma queste dimensioni, necessariamente eterogenee e articolate. Il movimento è quello di una continua circolarità tra le tre sfere. Per chiudere, in sostanza, il tema generale dell’organizzazione non può che essere pensato dal punto di vista dei percorsi di soggettivazione militante, di nuove figure della militanza politica, e della loro necessità di spazi, tempi, risorse, interventi, ambiti e della loro capacità di farsi soggetto capace di aprire, articolare e gestire questo spazio e questo processo senza predeterminarne composizione ed esito. E di come questa dimensione militante sta in relazione e tensione con le più ampie correnti sociali, nella capacità di posizionarsi sui loro “bordi”, né retroguardie né avanguardie separate, ma soggetti-agenti interni ai movimenti.

Chiusura

Sono evidentemente, queste tre tensioni, un tentativo di tracciare in modo sintetico alcune possibili direzioni di ricerca politica e dei processi necessari a pensare in modo inedito la trasformazione sociale. Chiaramente, questi processi devono essere pensati anche a partire da più livelli temporali, scandendo una dinamica quotidiana che non può che non pensarsi articolata assieme alla dimensione di “eventi” politici che necessariamente la eccedono – e rispetto ai quali la sfida può al massimo giocarsi sulla capacità di anticipazione. Così come siamo consapevoli del fatto che il tema dell’organizzazione solleva un gran numero di altri problemi. Il nostro auspicio è che da qui possano determinarsi discussioni e dibattiti che possano fare luce su di essi e contemporaneamente comincino a delineare qualche soluzione collettiva. Nello spirito di Teiko c’è infatti la possibilità di proporsi come strumento aperto, un processo in trasformazione che possa servire come strumento di discussione ampia.

Copertina del primo numero di Teiko